IL GIUDICE 
 
    Osserva quanto segue. 
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale   sollevata   dai
difensori di entrambi gli imputati B.E.A. e  G.E.,  cui  il  Pubblico
ministero ha parzialmente  aderito,  e'  sicuramente  rilevante.  Per
dimostrarlo e' necessario ricostruire brevemente il procedimento. 
    Il Pubblico ministero formulava richiesta di  rinvio  a  giudizio
nei confronti  degli  imputati  B.  e  G.  per  la  violazione  delle
disposizioni «di cui agli articoli  110  c.p.,  73  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990 per aver concorso tra loro  e
con L. N. nei cui confronti si e' proceduto  separatamente,  [nonche'
con] G. P., nei cui confronti si e'  proceduto  separatamente,  [alla
detenzione] ai fini di spaccio kg 21 di hashish. In particolare,  G.,
G. e B. effettuavano l'acquisto e poi  consegnavano  lo  stupefacente
per il trasporto a L. N., fungendo da staffetta il G. P. e G. E., con
l'auto VW Golf targata CV 644 HX, dandosi alla fuga subito  dopo  che
il  L.  veniva  fermato  dalla  Guardia   di   finanza   di   Milano,
preventivamente allertata  dalla  PG  operante.  In  Melegnano  il  3
dicembre 2008». 
    All'udienza del  13  giugno  2012,  l'imputato  G.  personalmente
formulava richiesta di rito  abbreviato.  Ammesso  tale  imputato  al
rito,  procedevasi  alla  discussione.  Quanto  all'imputato  B,   il
Pubblico ministero insisteva nella richiesta di  rinvio  a  giudizio,
mentre il difensore  chiedeva  emettersi  sentenza  di  non  luogo  a
procede; quanto all'imputato G., il Pubblico ministero concludeva per
l' affermazione della sua  penale  responsabilita',  con  conseguente
condanna alla pena finale di anni 5 di reclusione ed  euro  50.000,00
di multa, oltreche' per la confisca dei beni in sequestro, mentre  il
difensore instava per il contenimento della pena nei minimi di legge,
con il riconoscimento delle  circostanze  attenuanti  generiche  (per
l'incensuratezza e la buona condotta di vita successiva  al  commesso
reato), formulando altresi' richiesta di restituzione  di  quanto  in
sequestro.  All'esito  della  camera   di   consiglio,   pubblicavasi
ordinanza ex articoli 422, comma 1, c.p.p. (quanto a B.) e 441, comma
5, c.p.p. (quanto a G.) a termini della quale, revocata in dubbio  da
parte  dei  difensori  di   entrambi   gli   imputati   la   corretta
identificazione di B. sulla base del compendio intercettivo  e  degli
esiti di una  consulenza  fonica  disposta  dal  Pubblico  ministero,
figurando agli atti  un  «servizio  di  osservazione,  pedinamento  e
controllo nel corso  del  quale  gli  operanti  hanno  constatato  la
fattiva partecipazione di un soggetto, dai medesimi identificato  per
B. L., alle operazioni di trasbordo», con il coinvolgimento  altresi'
del coimputato G.), «presente ai  fatti  descritti  nel  servizio  di
o.c.p, dianzi  richiamato,  in  tesi  coordinando  i  suoi  movimenti
nientemeno che con B. L.», era disposta tra l'altro  l'audizione  dei
militari intervenuti. 
    All'udienza del 29 gennaio 2013, veniva assunta la  testimonianza
del luogotenente Della  Porta  Franco.  La  si  riporta  per  intero,
evitando qualsiasi intervento, al fine espresso di non anticipare  il
giudizio sul merito  della  vicenda  e  quindi  generare  ragioni  di
astensione nel prosieguo: 
        ADG: ho  partecipato  direttamente  alle  attivita'  di  p.g.
riguardanti gli imputati. 
        ADG: partiamo con un'indagine di DDA per traffico di sostanze
stupefacenti Si apre un filone verso Milano per  affari  di  hashish.
Individuiamo G.  E.  quale  uno  dei  protagonisti.  C'erano  accordi
pregressi che iniziano nel novembre tra il soggetto di Cerignola,  G.
P. ed il G. per transazione di sostanze stupefacenti.  Abbiamo  avuto
la conferma che fosse sostanza stupefacente in occasione dell'arresto
di  L.  N.  A  monte  c'e'  stata   un'attivita'   di   osservazione,
coordinandoci con i colleghi di Genova. Agli o[p.c.]  ho  partecipato
io, prendiamo contatti con le due pattuglie di Genova e ci appostiamo
in attesa degli sviluppi delle indagini tecniche. Individuiamo G. E.,
mi ricordo che ando' in un albergo a Pavia  (nota  352968-11  del  24
giugno 2011). I colleghi del GOA di Genova ci hanno segnalato che  la
macchina di G. E. era giunta sul posto. Io e i miei colleghi  eravamo
in una zona piu' defilata senza contatto visivo con la  via  Parenzo.
Io ho visto arrivare la macchina, era una macchina abbastanza strana,
una Lancia Z. 
    Abbiamo appreso dai colleghi che era arrivato pure G. E.  in  via
Parenzo unitamente a. Poi alle 21,20, e' arrivata  una  Renault  Clio
condotta da B. L.. Io personalmente non ho visto la Renault Clio.  Io
ho partecipato all'appostamento per tutta la notte sino alla mattina,
quando riparte la Lancia Z e con i miei colleghi ci  siano  messi  al
seguito di essa. Al casello di Milano abbiamo  fatto  controllare  la
Lancia. 
        ADG: [La] nota 457101/10 del  24  agosto  2010,  sub  10,  e'
quella di  riferimento  a  proposito  dell'individuazione  di  G.  E.
Abbiamo estratto una scheda fisionomica soggettiva. 
        ADG: con riferimento a B.  intercettiamo  telefonate  di  G.,
dove G., parla del cognato, progr. 413 del 22 novembre 2008  (andiamo
in pizzeria dal cognato: noi abbiamo interpretato il cognato come  B.
L.). Ancora: progr. 409 del 19 novembre 2008 (sono andato da L.). 
    Io non [ho] visto il cognato sul  posto.  E'  stato  visto  dalla
pattuglia di Genova. 
    A domanda difensore: l'utenza 338.7967433 viene associata  B.  L.
dopo l'osservazione compiuta in sede di servizio di o.p.c. I colleghi
di Genova avevano in corso un'altra operazione con ascolti, quindi e'
probabile  che  i  medesimi  avessero   elementi   approfonditi   per
l'attribuzione a B. L. dell'utenza di cui si tratta. 
    Il teste si impegna a fornire l'indicazione del collega di Genova
che ha proceduto all'identificazione di B. L. ed  ogni  caso  che  ha
partecipato con contatto visivo all'o.p.c. 
    All'udienza del 10 aprile 2013, veniva sentito il  vicebrigadiere
Ferrante Eugenio: 
        sentivamo nelle intercettazioni G. E.  e  le  indagini  erano
condotte dal Pubblico ministero di Trento. A sua volta il G. aveva il
contatto con tale G.,  per  organizzarsi  per  acquistare  cocaina  o
hashish. Il G. chiedeva a suo cognato se conosceva qualcuno  per  una
quantita' di hashish. Il cognato si riservava di  fargli  sapere.  In
una conversazione con il G., G. P.,  il  G.  gli  comunicava  che  si
poteva acquistare l'hashish. Dopodiche' il G. comunicava al G. che il
giorno successivo potevano aver luogo le operazioni. Quindi il  G.  e
L. N. salivano dalla Puglia per alloggiare in un hotel. Il G.  ed  il
L. effettivamente venivano  ed  alloggiavano.  Il  2  dicembre,  dopo
essersi messi a posto con l'albergo, andavano tutti in direzione  via
privata Parenzo n. 6 in Milano.  Il  G.  aveva  una  Lupo  color  blu
elettrico targata X309FH intestata alla moglie B. E; il G. ed il  L.,
erano a bordo di una Golf grigio chiaro targata CV644XH. 
        ADG: io ho partecipato al servizio di osservazione. Io ed  il
collega  che  e'  fuori  eravamo  nelle   vicinanze   appostati.   In
quell'occasione il G. faceva una telefonata, contattava il B.  e  gli
chiedeva a che punto era, il B. gli  dava  la  conferma  che  sarebbe
arrivato sul posto in 20  minuti,  mezz'ora.  Dopo  circa  20  minuti
arriva il B. a bordo di una Renault  Clio  di  colore  grigio  chiaro
targata CN441DY. Gia' in precedenza avevamo sviluppato  la  targa  ed
era intestata alla sorella B. A. Noi eravamo nelle vicinanze ed il B.
dopo aver parcheggiato usciva  dalla  stessa,  si  guardava  intorno,
apriva il baule sulla parte posteriore e tirava fuori un  borsone  di
colore scuro molto pesante. Chiudeva il cofano ed entrava nel  civico
6. Dopo circa 10 minuti, il G.  ed  il  L.  a  bordo  della  Lupo  si
allontanavano e prendevano una direzione imprecisata. Dopo  circa  10
minuti arrivava il G. a bordo della Lupo  da  solo,  parcheggiava  ed
attendeva all'ingresso di via privata Parenzo ed attendeva il L. alla
guida una Lancia Z di colore grigio chiaro targata BG675NV. 
    A questo punto entrava nella  via  la  Lancia.  Tutti  e  quattro
erano, all'interno del cortile della casa. A questo punto il  collega
in sala ci comunicava telefonata a livello privata  dove  sentiva  in
sottofondo il rumore di sportelli, lamiere, che venivano  armeggiate.
Dopo 20 minuti, il B. esce dal civico a bordo della  Clio  ed  andava
via prendendo una direzione che noi non sappiamo.  Dopo  circa  15-20
minuti il L. a bordo della Lancia Z usciva dal civico 6 ed  andava  a
parcheggiare nelle vicinanze, in via Ernesto Rossi, nel  cortile  del
civico 6, all'epoca la stessa residenza di B. L.  Noi  pensavamo  che
avevano occultato lo stupefacente all'interno della  Lancia.  Percio'
abbiamo monitorato la Lancia tutta la notte. Il G. ed il  L.  con  il
Golf prendevano la direzione dell'hotel. Questo era intorno alle  ore
22,00. Dopodiche', il giorno dopo, alle 9,40, circa, il G. e L. erano
sulla Golf. Il G. faceva scendere il L. e si metteva alla guida della
Lancia. Entrambi proseguivano nella stessa direzione a breve distanza
l'una dall'altro in direzione dell'A1. 
        ADG: circa il coinvolgimento del B. la telefonata  era  fatta
da G. che chiedeva a B. in quanto tempo avrebbe impiegato ad arrivare
sul posto. 
    ADG: non avevamo individuato  prima  il  B.  La  scheda  TIM  era
intestata a lui. 
    ADG: abbiamo iniziato ad identificato il B.  perche'  G.  parlava
con il G. parlando del cognato. La scheda era intestata a B. L. Avuto
il nominativo, andiamo al comune di Milano e  facciamo  la  fotocopia
del documento di identita'. Quella sera e'  arrivato  il  B.  perche'
l'ho riconosciuto dalla foto, io e gli altri colleghi. 
    ADAvv. Saldarini: nella telefonata cui mi riferivo il G. chiamava
il E. e noi pensavamo che  essa  fosse  riferita  allo  stupefacente.
Questa conversazione e'  intervenuta  il  giorno  stesso,  il  giorno
precedente il sequestro. La telefonata parte dall'utenza in uso a  G.
Il B. aveva in uso l'utenza 338.7967433. 
    ADAvv. Saldarini:  abbiamo  delle  foto  di  B.  che  sono  state
acquisite prima dell'attivita' di  cui  si  tratta,  non  ricordo  se
abbiamo un'annotazione degli accertamenti fatti presso il  comune  di
Milano. 
        ADG: non abbiamo documentato il servizio di o.c.p. anche  con
fotografie o filmati. 
    Il teste, in ossequio all'impegno assunto,  faceva  pervenire  in
cancelleria le fotografie acquisite dal comune di Milano  di  B.  con
documentazione al seguito. 
    All'udienza del 18 giugno  2013,  i  difensori  di  entrambi  gli
imputati   si    riportavano    all'eccezione    di    illegittimita'
costituzionale sollevata nelle memorie depositate. 
    Seguivano  altre  udienze,  finalizzate  a  consentire  il  pieno
contraddittorio delle parti. 
    All'udienza del 6  novembre  2013,  le  parti  instavano  per  la
discussione sull'eccezione stessa. Le conclusioni  delle  parti  sono
quelle constanti dal processo verbale: 
        il Pubblico ministero ritiene di affermare la rilevanza della
perche' anticipa che gli esiti dell'integrazione probatoria  disposta
d'ufficio dal giudice eliminano ogni  dubbio,  a  suo  avviso,  sulla
penale responsabilita' di  G.  e  sull'esigenza  della  richiesta  di
rinvio a giudizio con riferimento a B. Sul punto della non  manifesta
infondatezza, rileva che non  pare  condivisibile  l'ordinanza  della
Cass. 9  maggio  2013  laddove  denuncia  il  vizio  della  legge  di
conversione per il mancato collegamento con il decreto-legge  oggetto
della  conversione  medesima;  aggiunge  che   ritiene   invece   non
manifestamente infondata la q.l.c. per contrasto con l'art.  4  della
decisione-quadro in specie sotto il profilo del paragrafo 2,  lettera
b) in relazione alla mancata previsione della differenziazione  della
cornice edittale  alternativamente  per  il  caso  in  cui  il  reato
implichi la fornitura degli stupefacenti piu' dannosi per  la  salute
pubblica ovvero abbia provocato danni per la salute di  piu'  persone
per contrasto con l'art. 117 Cost. nonche' con  l'art.  3  Cost.  per
violazione  del  principio  di  uguaglianza  nella  parificazione  di
situazioni pacificamente disuguali. Riserva il deposito di memoria. 
    L'avv.  Calcaterra  e  l'avv.   Saldarini   si   riportano   alle
conclusioni che depositano ed alle memorie gia' versati in  atti.  In
particolar modo insistono affinche' il giudice pronunci sulla  q.l.c.
prima di dichiarare aperta la  discussione  nel  merito  perche'  gli
imputati devono conoscere le norme penali applicabili. 
    Seguiva il deposito di memorie in specie da  parte  del  Pubblico
ministero. 
    Alla luce di quanto precede,  la  rilevanza  della  questione  di
legittimita' costituzionale e' di immediato apprezzamento.  Si  verte
della detenzione, a seguito del pervenimento nel territorio milanese,
di kg 21 di hashish. Anticipa il P.M. la rinnovazione della richiesta
di condanna con riferimento alla posizione di G.  e  la  rinnovazione
della richiesta di rinvio a giudizio con riferimento  alla  posizione
di B. Chiaramente, tanto piu' a  fronte  di  siffatte  richieste  del
Pubblico ministero, la determinazione  della  disciplina  applicabile
diviene uno snodo centrale del procedimento: qualora  dovesse  essere
ritenuto che sussistano prove sufficienti  per  affermare  la  penale
responsabilita' di G., nei confronti di  costui  dovrebbe  procedersi
alla  determinazione  della  pena  avuto  specialmente  riguardo,  in
relazione agli indici di cui all'art. 133, comma 1, c.p., alla natura
e  poi  alla  quantita'  e  qualita'  della  sostanza   stupefacente;
relativamente a B., fermo il suo diritto a conoscere anticipatamente,
rispetto al dibattimento, la cornice edittale prevista per  il  fatto
contestatogli, l'art. 438, comma  2,  c.p.p.  financo  lo  abilita  a
proporre la richiesta di rito abbreviato sino alla formulazione delle
conclusioni ai sensi dell'art. 421 c.p.p. 
    In punto di non manifesta fondatezza, il giudice, che accede alle
prospettazioni  dei  difensori  degli  imputati,  solo   parzialmente
condivise dal Pubblico ministero, prende le mosse da Cass. Pen., Sez.
III, ord. 9 maggio 2013 (dep. 11 giugno 2013), Pres. Squassoni,  rel.
Franco, ric. Maniscalco, con cui il Supremo Consesso ha sottoposto al
vaglio di codesta Ecc.ma Corte costituzionale la compatibilita' degli
articoli 4-bis e 4-vicies-ter,  comma  2,  lettera  a),  e  comma  3,
lettera a), numero 6), del decreto-legge 30 dicembre  2005,  n.  272,
entrambi introdotti dalla legge di conversione 21 febbraio  2006,  n.
49, con l'art. 77, comma 2, Cost. 
    L'art. 4-bis cit., nel sostituire i commi 1  e  4  dell'art.  73,
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,  n.  309,  ha
eliminato la distinzione tra le sostanze  stupefacenti  di  cui  alle
tabelle II e IV e quelle di cui alle tabelle I  e  III  previste  dal
previgente art. 14, decreto del Presidente della  Repubblica  n.  309
del 1990, parificando il trattamento sanzionatorio delle  fattispecie
relative alle prime al trattamento  sanzionatorio  delle  fattispecie
relative  alle  seconde,  ma  nel  contempo  rimodulando  la  cornice
edittale del trattamento  sanzionatorio  relativo  alle  seconde  con
abbassamento del minimo, per quel che concerne la pena detentiva,  ad
anni sei di reclusione contro gli anni otto di reclusione precedenti.
L'art. 4-vicies-ter cit. ha sostituito gli articoli 13 e 14,  decreto
del Presidente della  Repubblica  n.  309  del  1990,  unificando  le
tabelle  che  identificano  le  sostanze   stupefacenti   e   percio'
eliminando la distinzione tra le c.d. droghe  pesanti,  di  cui  alle
tabelle I e III, e le c.d. droghe leggere, di cui alle tabelle  II  e
IV. 
    Sotto  il  profilo  della  non   manifesta   infondatezza   della
questione,  il  Supremo  Consesso,  nell'articolatissima  e  profonda
ordinanza di cui si tratta, denuncia, in principalita', l'estraneita'
delle disposizioni inserite solo in sede di legge  di  conversione  -
con le quali e' stata modificata la disciplina penale delle  sostanze
stupefacenti, giusta l'introduzione di un  trattamento  sanzionatorio
unico per le droghe pesanti e leggere -  rispetto  all'oggetto,  alle
finalita' e comunque alla  ratio  del  decreto-legge;  in  subordine,
comunque  ed  in  ogni  caso,  la  carenza  del   presupposto   della
straordinaria necessita' e urgenza. 
    Inutile ripercorre in questa sede le tesi esposte da  giudici  di
gran lunga piu' preparati  dello  scrivente  giudice,  per  modo  che
all'ordinanza stessa non resta che fare rinvio.  Anche  lo  scrivente
giudice, in buona sostanza, ritiene, alla  luce  degli  approdi  piu'
illuminati della giurisprudenza costituzionale in punto di  richiesta
omogeneita' tra la materia disciplinata dalla legge di conversione  e
la   materia   disciplinata   dal   decreto-legge,   l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies-ter  decreto-legge  n.
272 del 2005, introdotti solo dalla legge n. 49 del 2006,  in  quanto
debordanti: 
    dai limiti di materia tracciati nel titolo del decreto-legge; 
    dall'oggetto del decreto-legge; 
    ed  in  ultimo  dai  presupposti   di   necessita'   ed   urgenza
legittimanti  la  normazione  mediante  decreto-legge   nei   termini
indicati proprio in quest'ultimo. 
    Non e' revocabile in dubbio che il parlamento abbia letteralmente
sfruttato il treno in  corsa  sui  binari  ad  alta  velocita'  della
conversione del decreto-legge  per  realizzare  una  vera  e  propria
riforma,  strutturale  e  sistemica,   del   diritto   penale   degli
stupefacenti, introducendo la parificazione  della  cornice  edittale
applicabile a condotte riferite  alle  droghe  leggere  alla  cornice
edittale applicabile a condotte riferite alle droghe pesanti, previa,
si noti, l'eliminazione in se' della distinzione  tra  le  une  e  le
altre, attraverso l'abrogazione della distinzione tra le tabelle I  e
III e le tabelle  II  e  IV  del  previgente  art.  14,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. 
    A fronte di un decreto-legge intitolato  a  «Misure  urgenti  per
garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le  prossime  Olimpiadi
invernali,    nonche'    la    funzionalita'     dell'amministrazione
dell'Interno.   Disposizioni   per   favorire    il    recupero    di
tossicodipendenti recidivi», ammesso e non concesso,  in  riferimento
al «recupero di tossicodipendenti recidivi», che con l'art. 4,  comma
1, decreto-legge n.  272  del  2005  nella  versione  antecedente  la
conversione vi fosse alcunche' di  straordinariamente  necessario  ed
urgente nel fatto  di  «sopprimere»  (e  neppure  «abrogare»)  l'art.
94-bis, decreto del Presidente della  Repubblica  n.  309  del  1990,
introdotto dall'allora recentissima legge 5 dicembre  2005,  n.  251,
nota come legge ex-Cirielli (dacche' l'art. 4 cit. non aveva di  mira
l'introduzione    di    alcun    trattamento    di    recupero    dei
tossicodipendenti, che tali sono  a  prescindere  dalla  recidivanza,
bensi' la semplice sterilizzazione degli effetti della ridetta  legge
n.  251  del  2005  in  termini   di   «massiva   e   pregiudizievole
ricarcerizzazione» - come scrive il Supremo Consesso - dei condannati
recidivi ed  «altresi'»  tossicodipendenti  sul  presupposto  di  una
recidivanza per cosi' dire «connaturale» ad una supposta categoria di
condannati, individuabili sol perche' tossicodipendenti);  ammesso  e
non concesso, dunque, che lo strumento del decreto-legge  potesse,  e
possa, addurre a giustificazione logico-giuridica  della  sua  stessa
esistenza un diverso intendimento del governo rispetto a quello fatto
proprio dal parlamento circa la conformazione, per una sola categoria
di soggetti, di un istituto di «generale»  applicazione  come  quello
della recidiva; ammesso e non concesso, poi,  che,  tra  i  tre  temi
della «sicurezza» e dei «finanziamenti» per le  imminenti  «Olimpiadi
invernali» e della «funzionalita' dell'Amministrazione dell'interno»,
da  una  parte,  del  «recupero   di   tossicodipendenti   recidivi»,
dall'altra parte, e, ancorche'  neppure  menzionato  dal  titolo  del
decreto-legge, dell'«esercizio del  diritto  di  voto  dei  cittadini
italiani residenti all'estero», possa sia  pur  labilmente  scorgersi
alcuna omogeneita' di materia o di finalita', in guisa  tale  da  far
ritenere rispettato il canone dell'unitarieta' del  decreto-legge  ex
art. 15, comma 3, della legge 23 agosto  1988,  n.  400,  quale  atto
eccezionale di esercizio della  potesta'  legislativa  da  parte  del
potere  esecutivo,  che  di  detta  potesta'  non  e'  ordinariamente
attributario,  al  fine  di  soddisfare  un'imminente  necessita'  di
disciplina per l'evolvere di una situazione di  fatto  che  non  puo'
attendere le lungaggini delle discussioni parlamentari; ammesso e non
concesso tutto  quanto  precede,  resta  il  dato  di  fondo  che  la
realizzazione della riforma del diritto  penale  degli  stupefacenti,
cui si accennava, si pone al di' fuori dell'alveo  ed  in  uno  della
logica del decreto-legge n. 272 del 2005 riguardato sia come tutto  e
sia anche come insieme dei suoi singoli articoli (il  primo  dedicato
all'«assunzione di personale della polizia di Stato», il  secondo  al
«personale della carriera prefettizia», il terzo - verrebbe da  dire:
finalmente - ai «finanziamenti per le Olimpiadi invernali»; il quarto
- del tutto inaspettatamente - all'«esecuzione delle  pene  detentive
per tossicodipendenti in programma di  recupero»;  il  quinto  -ancor
piu' eterogeneamente - agli  «adempimenti  finalizzati  all'esercizio
del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero»). 
    La riprova di quel che si scrive si ha in cio' che la riforma del
diritto  penale  degli  stupefacenti,  introdotta  con  la  legge  di
conversione,  costituisce  il  recepimento  -  tanto  per  riprendere
nuovamente le parole del Supremo Consesso - di «una buona  parte  del
contenuto  del  disegno  S  2953,  del  novembre  2003,  fermo  nelle
competenti commissioni referenti del Senato». Il parlamento, che  non
ha ritenuto di dare, per assai lungo tempo, impulso alla  discussione
su tale disegno di legge,  ritenendo  che  l'agenda  dei  lavori  non
subisse l'impellenza di intervenire sull'omogeneizzazione della  pena
per i fatti di reato inerenti le droghe leggere rispetto alle  droghe
pesanti, alla fine, ha nondimeno  agganciato  il  proprio  intervento
«recuperatorio» al grado viepiu' qualificato di necessita' ed urgenza
espresso dal decreto-legge: quasi, in definitiva,  che  l'urgenza  al
quadrato discendesse da una volontaria inazione. 
    Va segnalato che anche le Sezioni unite della  Suprema  corte  di
cassazione, con la sent. 10 giugno 2013, n. 25401,  hanno  confermato
l'impostazione seguita nell'ord. 9 maggio 2013, perche', nel  sancire
che l'uso o consumo di  gruppo  integra  esclusivamente  un  illecito
amministrativo, hanno evidenziato possibili profili di illegittimita'
costituzionale connessi all'introduzione in sede di  conversione  del
decreto-legge di  emendamenti  eterogenei,  offrendo  di  conseguenza
un'interpretazione   in   tanto   «corrispondente    allo    speciale
procedimento legislativo prescelto» (paragrafo 9) in quanto volta  ad
escludere  che  con  gli  emendamenti  al  decreto-legge  sia   stata
introdotta una norma penale  determinante  la  trasformazione  di  un
illecito  amministrativo  in  illecito  penale  all'interno   di   un
perimetro estraneo alla materia oggetto dell'iniziativa  urgente  del
governo. 
    Nondimeno, stante viepiu' il contrario avviso espresso  dal  P.M.
rispetto all'impostazione seguita finanche dalle Sezioni unite  della
Suprema corte di cassazione, non puo' esimersi lo  scrivente  giudice
dal rilevare che i portati degli arresti attorno ai quali si impernia
l'intero ragionamento esposto nell'ord. 9  maggio  2013,  oggetto  di
adesiva  evocazione,  costituiscono  un'acquisizione  recente   della
giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte,  discendendo  in  particolare
dalla sent. n. 22 del 2012, ulteriormente sviluppata dalla  sent.  n.
34 del 2013, su  cui  si  sono  accese  appassionate  discussioni  in
dottrina. 
    Invero, recuperando storici insegnamenti di diritto delle  fonti,
si fa notare che l'interpretazione dei rapporti tra  decreto-legge  e
legge di conversione si e' per lungo tempo sedimentata in termini  di
un ordinario susseguirsi  di  testi  aventi  pari  valore  di  legge.
Secondo siffatta impostazione, la legge di conversione non subisce un
vincolo di presupposizione necessaria  derivante  dall'emanazione  in
se' del decreto-legge quale «provvedimento provvisorio con  forza  di
legge», che, proprio a motivo dell'espressa provvisorieta', non  pone
la quaestio della conversione; ne' il presupposto della straordinaria
necessita'  ed   urgenza,   richiesto   per   la   legittimita'   del
decreto-legge, si comunica per cio' solo alla legge  di  conversione,
dacche', per quanto sia vero che  la  conversione  del  decreto-legge
deve intervenire nel termine di sessanta giorni dalla  pubblicazione,
tuttavia e' anche vero che, in difetto di essa, e' gia' prevista  dal
secondo comma dell'art. 77 Cost. la conseguenza decadenziale, sicche'
la disciplina introdotta dal  decreto-legge  perde  valore  ex  tunc,
senza che sia cogente l'introduzione di una disciplina transitoria ad
opera di alcuna legge, la  quale  puo'  sopravvenire,  convertendo  o
convertendo in parte  o  anche  non  convertendo  esplicitamente,  il
decreto-legge,  ma  anche  non   sopravvenire.   Dallo   scioglimento
dell'endiadi tra il decreto-legge e la  legge  di  conversione  circa
l'an dell'emanazione di  quest'ultima  discende  la  riprova  che  il
parlamento resta libero  nell'esercizio  della  potestas  di  cui  e'
attributario: una potesias non condizionata nell'an, ma  neppure  nel
quomodo, sotto il duplice profilo della materia trattata e  del  tipo
di  disciplina  riservata  alla  trattazione  della  materia  stessa.
Nell'ottica  della  per  vero  autorevolissima  opinione  che  si  va
indegnamente esponendo, l'emanazione  del  decreto-legge  rappresenta
soltanto l'occasio legittimante  il  parlamento  all'attivazione  del
procedimento normativo, che, per quanto condizionato dal  termine  di
sessanta giorni dalla pubblicazione posto dal terzo  comma  dell'art.
77 Cost., tale e' a pieno titolo. Esso,  pertanto,  giammai  potrebbe
subire alcun vincolo  derivante  dal  decreto-legge,  anche  perche',
diversamente,   risulterebbe   menomata   la   discrezionalita'   del
parlamento ad opera, nientemeno, che del governo, il  quale,  a  quel
punto, sarebbe messo nelle condizioni persino di dettare nel merito -
e non solo nei tempi - l'agenda del parlamento. L'impianto  disegnato
invece dagli ultimi due commi dell'art.  77  Cost.  accorda  assoluta
preminenza proprio al parlamento, relegando il potere legislativo del
governo ai «casi» eccezionali di straordinaria necessita' ed  urgenza
sotto il principio di  auto-responsabilita'  (politica)  del  governo
stesso, che, per l'appunto, deve godere della fiducia del parlamento. 
    Ne esce confermata una  divaricazione  dei  piani  interpretativi
concernenti, rispettivamente, la vicenda delle fonti e la vicenda dei
rapporti tra  i  poteri  dello  Stato  da  cui  dette  fonti  possono
promanare  (nel  caso  del  governo)  o  promanano  (nel   caso   del
parlamento). 
    Va  da  se'  che,  cosi'  impostati  i  temi  della  discussione,
legittima sarebbe in linea di  principio  una  legge  di  conversione
introducente contenuti disallineati e persino apertamente disomogenei
rispetto al decreto-legge, in  forza  del  principio  di  assolutezza
dell'attribuzione legislativa del parlamento. Il  tema  rileva  tanto
piu' in quanto, secondo la modesta opinione dello scrivente  giudice,
nella  sentenza  n.  355  del  2010,  codesta   Ecc.ma   Corte,   nel
traguardare, per la prima volta, il punto di approdo di un  sindacato
di per se stesso  rivolto  alle  disposizioni  aggiunte  in  sede  di
conversione, nel contempo pero'  parametrandolo  a  quelle  «non  del
tutto estranee rispetto al contenuto della  decretazione  d'urgenza»,
in  modo  da  far  salvo  il  rapporto  funzionale  della  legge   di
conversione rispetto a quest'ultima, pare, salvo errori  di  lettura,
ammettere  quantomeno  implicitamente  nella  legge  di   conversione
medesima sia norme non del tutto estranee e  sia  pero'  anche  norme
eterogenee al tessuto disciplinare del testo governativo,  esse  pure
predicabili di rispondenza al dettato costituzionale sotto il vincolo
-  contermine  nondimeno  all'apprezzamento  politico  riservato   al
parlamento - della  riconducibilita'  al  fine  gia'  fatto  proprio,
eccezionalmente, dal governo. 
    D'altronde  non  manca  chi   sottolinea   che   il   «nesso   di
interrelazione funzionale» - di cui alle due sentenze n. 22 del  2012
e n. 34 del 2013 -  corrente  tra  la  legge  di  conversione  ed  il
decreto-legge nel contesto di un procedimento normativo unitario  che
risale gia' all'emanazione del decreto-legge come momento  di  avvio,
nell'obiettivo  silenzio  della  lettera  degli  ultimi   due   commi
dell'art. 77 Cost., e' inferito in via interpretativa, per un  verso,
dall'art. 96-bis reg. Cam. Dep., che attribuisce al Presidente  della
Camera  dei  deputati  il  potere  di  dichiarare  inammissibili  gli
emendamenti   «non   strettamente   attinenti»   alla   materia   del
decreto-legge,  e,  per  altro  verso,  dalla  prassi   recente   del
Presidente della Repubblica, che ha in diverse  occasioni  richiamato
le Camere al rispetto della sostanziale omogeneita' delle norme della
legge di conversione a quelle  del  decreto-legge,  al  fine  di  non
vedere pregiudicate le sue prerogative sia quanto  a  quest'ultimo  e
sia, ed anzi soprattutto, quanto alla prima: art.  96-bis  reg.  Cam.
Dep. e  prassi  recente  del  Presidente  della  Repubblica  chiamati
congiuntamente  ad  assurgere,  con  le   consuete   difficolta'   di
inquadramento    dell'efficacia    assertivo-precettiva    di    dati
extra-testuali,      a      criterio      quantomeno      orientatore
dell'interpretazione, se non tout court integrativo, degli ultimi due
commi dell'art. 77 Cost. 
    Nondimeno lo scrivente giudice, che, per trasparenza, ha ritenuto
di esplicitare alcune delle principali obiezioni percorse in dottrina
rispetto agli approdi interpretativi seguiti da codesta Ecc.ma  Corte
e  fatti  propri  dal  Supremo  Consesso  nell'ord.  9  maggio  2013,
riflettendo proprio sul caso specifico, si permette di evidenziare un
argomento che reputa, forse, di un certo spessore per  dimostrare  un
profilo di criticita' delle opinioni contrarie a ravvisare un  «nesso
di interrelazione funzionale» tra  la  legge  di  conversione  ed  il
decreto-legge: cio'  nella  personale  consapevolezza  che  l'estrema
difficolta' delle questioni vertite apre ad  un  momento  di  sintesi
rimesso ai giudici di codesta Ecc.ma Corte, che possiedono  strumenti
assai piu'  penetranti,  rispetto  a  chi  si  limita  a  prospettare
un'ipotesi di riflessione, per interpretare il  tessuto  della  Carta
fondamentale. Lo spunto e'  offerto  dall'obiter  dell'ordinanza  che
recita come segue: 
        ... nel caso in esame gli aspetti patologici delle  modalita'
di  svolgimento  dell'iter  legislativo  potrebbero  apparire  ancora
maggiori di quelli che avevano indotto il Presidente della Repubblica
a rinviare alle Camere la legge di conversione del  decreto-legge  25
gennaio 2002, n. 4. Nella specie  ...  la  legge  di  conversione  fu
definitivamente approvata l'8  febbraio,  ossia  pochi  giorni  prima
dello scioglimento delle Camere e dell'inizio delle Olimpiadi,  e  fu
poi promulgata il 21 febbraio. Quindi il Presidente della Repubblica,
non potendo disporre un rinvio parziale, avrebbe potuto esercitare la
sua prerogativa, a Camere sciolte e nell'immediatezza del termine  di
conversione, solo assumendosi la responsabilita' di mettere a rischio
le esigenze di sicurezza e lo stesso svolgimento delle  Olimpiadi  di
Torino. 
    Fermo il vulnus delle prerogative del Presidente della Repubblica
consumato ad opera della legge n. 49 del 2006, poiche' il  Presidente
della Repubblica non  e'  stato  messo  in  grado  di  esercitare  il
sindacato  riservatogli  attraverso  il   rinvio   giust'appunto   in
relazione alla riforma del  diritto  penale  degli  stupefacenti,  il
ragionamento puo' essere spinto  a  conseguenze  ulteriori.  L'ultima
parte del secondo comma dell'art. 77  Cost.  statuisce  l'obbligo  di
presentazione del decreto-legge lo stesso giorno dell'adozione per la
conversione alle Camere, soggiungendo che esse,  «anche  se  sciolte,
sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni». Ad
avviso dello scrivente giudice, la straordinarieta' del  procedimento
- la quale riflette la straordinarieta' del  caso  di  necessita'  ed
urgenza legittimante  ab  initio  il  governo  all'esercizio  di  una
potesta' che naturalmente non gli appartiene - conchiude  il  cerchio
con l'attribuzione una tantum del potere legislativo ad un parlamento
non piu' attributario di siffatto potere: sicche', ove,  in  ipotesi,
il parlamento, a camere sciolte, introducesse una  disciplina  avulsa
da quella del decreto-legge, parrebbe legiferare sine titulo. 
    Cio' detto, abbandonando il terreno della  disquisizione  teorica
ed incentrando l'attenzione sul decreto-legge n. 272 del 2005, che ne
occupa, neppure reputa lo scrivente giudice che si possa ravvisare un
indice  di  «collegamento»,  a   prescindere   dalla   qualifica   di
funzionalita', tra esso e la legge n. 49 del 2006 alla luce del primo
considerando del decreto-legge medesimo, il quale  recita:  «Ritenuta
la straordinaria necessita' ed urgenza di prevenire e contrastare  il
crimine organizzato ed il terrorismo interno ed internazionale, anche
per le esigenze connesse allo svolgimento  delle  prossime  Olimpiadi
invernali ...». 
    Ancorche'  le  organizzazioni  criminali  -  e  non  il  «crimine
organizzato» - ben possano  perseguire  lo  scopo  di  trafficare  in
stupefacenti, il loro rilievo, dal punto di vista del diritto penale,
discende dalla constatazione  della  messa  in  pericolo  dell'ordine
pubblico  derivante  dalla  semplice  esistenza  di   una   struttura
impegnata in attivita' delinquenziali, derivandone che  la  finalita'
di «contrastare il crimine organizzato», di cui al  decreto-legge  n.
272  del  2005,  in  difetto   di   specificazioni   concernenti   la
categorizzazione del  programma  perseguito  dai  partecipi,  non  si
estende  sino  al  punto  di   ricomprendere,   non   gia'   soltanto
l'equiparazione  del   trattamento   sanzionatorio   dei   fatti   di
narcotraffico inerenti le droghe leggere a quelli inerenti le  droghe
pesanti, ma, contemporaneamente, la riduzione,  perche'  di  cio'  si
tratta, del minimo edittale proprio per  quelli  inerenti  le  droghe
pesanti. Del  resto,  sul  punto,  pare  decisiva  la  considerazione
secondo cui la rimodulazione del trattamento sanzionatorio dei  fatti
di narcotraffico, proprio perche' i fatti di  narcotraffico  al  piu'
appartengono al programma avuto di mira dal partecipi,  non  dispiega
effetti  rilevanti  sullo  statuto   penale   dell'associazione   per
delinquere, pur se finalizzata al narcotraffico, con  la  conseguenza
che neppure la si puo' considerare uno strumento di «contrasto», alla
stregua di quanto letteralmente preteso dal  primo  considerando  del
decreto-legge n. 272 del 2005, al «crimine organizzato».  Cio'  senza
considerare    che,    diversamente    opinando,    si    perverrebbe
all'inaccettabile conclusione a termini della quale il mero  richiamo
al «crimine organizzato» avrebbe consentito alla legge di conversione
di incidere, ad esempio, sugli articoli 416  e  416-bis  c.p.  e,  di
piu', sulla legge 16 marzo 2006,  n.  146,  intitolata  «Ratifica  ed
esecuzione della convenzione e dei  protocolli  delle  Nazioni  unite
contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea
generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001». 
    Espresse le superiori considerazioni nell'intento di  minimamente
arricchire gli spunti di ponderazione gia' scandagliati  dall'ord.  9
maggio 2013, lo scrivente giudice  manifesta  tuttavia  l'avviso  che
sorga necessita' di affrontare anche il profilo,  concorrente  e  non
subordinato,  della  ritenuta  illegittimita'  costituzionale   degli
articoli 4-bis e 4-vicies-ter,  comma  2,  lettera  a),  e  comma  3,
lettera a), numero 6), citt., ulteriormente,  per  contrasto  con  il
diritto dell'Unione europea. Preso atto che  il  profilo  di  cui  si
tratta e' stato ritenuto assorbito nell'ord. 9 maggio  2013,  osserva
nondimeno che il contrasto con il diritto  dell'Unione  europea,  nei
termini che subito si esporranno, vizia le disposizioni denunziate di
per se stesse, ossia a prescindere da rilievi di merito sulla novella
in  punto  di  ragionevolezza  dell'equiparazione   del   trattamento
sanzionatorio di fatti di reato relativi a droghe  leggere  a  quelli
relativi a droghe pesanti. In questo senso, la prospettiva in cui  lo
scrivente giudice si pone, per un verso, accede  al,  ma,  per  altro
verso, nel contempo, si discosta sensibilmente  dal  punto  di  vista
esposto da C. App. Roma, Sez. III Pen., ord. 28 gennaio 2013. 
    L'inosservanza del diritto dell'Unione europea, con  i  contenuti
che gli appartengono e che devono essere interpretati alla  luce  dei
canoni che governano il diritto dell'Unione europea e non il  diritto
interno, non viene in rilievo per tali contenuti (la discordanza  dai
quali ad opera  del  diritto  interno  determinerebbe  un  vulnus  al
principio  di  uguaglianza  e,  correlativamente,  al  principio   di
legalita'  penale  sotto  il  profilo   dell'offensivita'   al   bene
giuridico), ma per il fatto in se'  del  contrasto.  La  precisazione
sembra opportuna, perche', con riferimento al diritto  costituzionale
ed al diritto penale interni, puo' argomentarsi, come in  effetti  si
e' argomentata, la ragionevolezza della disciplina vigente, ai  sensi
del  combinato  disposto  degli  articoli  3  e   25   Cost.,   dalla
constatazione che anche  le  droghe  leggere  attentano  alla  salute
pubblica, in maniera forse diversa dalle droghe pesanti, ma  comunque
pericolosa. 
    Lasciato dunque intenzionalmente in disparte il terreno  dedicato
ex professo all'analisi  -  meramente  interna  (salvo  quel  che  si
aggiungera' in confronto del diritto  dell'Unione  europea)  -  della
disciplina vigente al cospetto del principio  di  uguaglianza  e  del
principio  di  legalita'  penale  sub   specie   del   principio   di
offensivita',  resta  il  contrasto',  che   si   spieghera'   essere
insanabile, fra  le  modifiche  introdotte  dagli  articoli  4-bis  e
4-vicies-ter, comma 2, lettera a), e comma 3, lettera a), numero  6),
citi  agli  articoli  13,  14  e  73  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309 del 1990 e  l'art.  4,  segnatamente  paragrafo  2,
lettera b), prima parte, della decisione-quadro n.  2004/757/GAI  del
Consiglio del 25 ottobre 2004 «riguardante  la  fissazione  di  norme
minime relative agli elementi costitutivi dei reati e  alle  sanzioni
applicabili in materia di  traffico  illecito  di  stupefacenti»  (in
prosieguo «decisione-quadro» e, per brevita', «d.q.»). 
    Com'e'  noto,  la  decisione-quadro,  costituendo  un   atto   di
armonizzazione delle legislazioni nazionali  adottato  dal  Consiglio
nell'ambito dello spazio giuridico che prima dell'entrata  in  vigore
del Trattato di Lisbona era denominato «Terzo  pilastro»,  e'  bensi'
sprovvista,  per   espressa   indicazione   normativa,   di   dirette
applicabilita' ed efficacia, ma vincola gli Stati membri  «quanto  al
risultato da ottenere, salva restando la competenza  delle  autorita'
nazionali quanto alla forma  e  ai  mezzi»  [art.  34,  paragrafo  2,
lettera b), TUE]. 
    La conseguenza  di  maggior  rilievo  che  discende  da  siffatta
premessa si apprezza sul terreno  del  sindacato  del  contrasto  del
diritto interno con la decisione-quadro,  che,  pur  con  le  ridette
peculiarita',  seguita  ad  essere  un  atto   fonte   nel   contesto
dell'Unione  europea,  il  cui  ordinamento  -  a  motivo   o   della
sovraordinazione rispetto agli ordinamenti nazionali (predicata dalla
ferma giurisprudenza della Corte  di  Giustizia),  ovvero,  comunque,
dell'apertura  dell'ordinamento  italiano  in  favore  di  esso   con
corrispondente  limitazione  della   sovranita'   in   un'ottica   di
promozione   internazionale   (predicata    dall'altrettanto    ferma
giurisprudenza  della  Corte  costituzionale)  -   esige   prevalenza
rispetto al  diritto  interno  incompatibile  sul  presupposto  della
vincolativita'  per  gli  Stati.  membri,  scaduti   i   termini   di
recepimento,   del   «risultato   da   ottenere»   quale    parametro
dell'adempimento e, oltre, dell'esatto adempimento. 
    E'  proprio  in  considerazione  di  cio'  che,  per   tralaticia
interpretazione della Corte  di  Giustizia,  la  decisione-quadro,  e
prima la direttiva, affinche' possa spiegare effetto nell'ordinamento
dell'Unione europea e per  compenetrazione  negli  ordinamenti  degli
Stati membri senza subire la sorte di rimanere  confinata  a  lettera
morta in caso di inadempimento od inesatto adempimento  da  parte  di
questi ultimi, costituisce la fonte dell'obbligo - rectius, dovere  -
minimale in capo al giudice  nazionale  di  interpretare  il  diritto
interno in conformita' alla lettera ed allo scopo di  essa  (cfr.  da
ultimo l'intera motivazione in diritto di CG, 16 giugno  2005,  causa
C-105/03, Pupino). Sul punto, peraltro, la giurisprudenza di  codesta
Ecc.ma Corte, pur partendo da presupposti  ordinamentali  eterogenei,
ha infine trovato una ragione di convergenza  con  la  giurisprudenza
dell'omologa nell'Unione europea (come funditus si evince dalla sent.
n. 227 del 2010). 
    Cio' premesso,  secondo  lo  scrivente  giudice,  il  trattamento
sanzionatorio che l'art. 73, commi 1 ed 1-bis, decreto del Presidente
della Repubblica n. 309 del 1990 attualmente prevede  per  i  delitti
aventi ad oggetto le droghe leggere non e' proporzionato  rispetto  a
quello stabilito per i delitti aventi ad oggetto le  droghe  pesanti,
avuto riguardo al criterio della diversa dannosita' per la salute  di
cui all'art. 4, numero 2, lettera b), prima parte, d.q. 
    E' da premettere che l'art. 4 cit.,  al  paragrafo  1,  esordisce
imponendo agli Stati membri la previsione di sanzioni penali  per  le
fattispecie contemplate dagli articoli 2 e 3 dotate dei caratteri  di
«effettivita', proporzionalita' e dissuasivita'». Secondo  l'opinione
dello scrivente giudice, ferma (sara' perdonato il gioco  di  parole)
la stabilizzazione del massimo edittale per i reati di cui all'art. 2
in uno spazio minimo  compreso  tra  un  anno  e  tre  anni  di  pena
detentiva, i paragrafi 2, 3 e 4 sono dedicati  alla  declinazione  di
limiti alla  discrezionalita'  del  legislatore  nazionale  sotto  il
profilo del criterio della proporzionalita'. Il paragrafo 2 eleva  la
durata minima del massimo edittale, rispetto allo spazio  minimo  cui
teste' si accennava, quando «il reato implica grandi quantitativi  di
stupefacenti» [lettera a)] e quando "il reato o implica la  fornitura
degli stupefacenti piu' dannosi per la salute, oppure ha  determinato
gravi danni alla salute di piu' persone» [lettera b)]. I paragrafi  3
e 4 si ispirano alla medesima ratio con riferimento ai reati commessi
nell'ambito di organizzazioni criminali ai sensi  dell'azione  comune
98/733/GAI del 21 dicembre 1998, avendo cura di  inserire  un  limite
minimo dello  spazio  minimo  del  massimo  edittale  qualora  -  con
specifico riferimento «[alla] fabbricazione, [al]  trasporto,  [alla]
distribuzione di precursori, quando la persona che compie  tali  atti
sia a conoscenza  del  fatto  che  essi  saranno  utilizzati  per  la
produzione o la fabbricazione illecite di stupefacenti» - si verta in
materia di «precursori [...] destinati  ad  essere  utilizzati  nella
produzione o per la produzione di stupefacenti alle condizioni di cui
al paragrafo 2, lettere a) o b)» (in tale aggiunta sostanziandosi  la
differenza tra il paragrafo 4 ed il  paragrafo  3,  che  peraltro  ha
riguardo alle sole fattispecie, gia' di per se stesse  aggravate,  di
cui al paragrafo 2, lettere a) o b)]. 
    L'impianto della decisione-quadro, pertanto, pare potersi leggere
nei seguenti termini: sussiste per gli Stati  membri  un  obbligo  di
penalizzazione delle fattispecie di cui agli articoli 2 e 3  e  detto
obbligo e' improntato alla previsione di pene detentive, tra l'altro,
«proporzionate», ossia proporzionate evidentemente alla gravita'  dei
fatti,  nel   contesto   della   quale,   trattandosi   di   sostanze
stupefacenti,  deve  tenersi  conto  della  natura  delle  stesse  in
funzione del maggiore o minore pericolo per la salute pubblica (primo
comma del paragrafo 1); i soli reati di cui all'art. 2  devono  andar
soggetti «a pene detentive della durata massima compresa tra almeno i
e 3 anni» (secondo comma del  paragrafo  1);  i  soli  reati  di  cui
all'art. 2, paragrafo 1, lettere a), b) e c) [con  esclusione  quindi
di fabbricazione, trasporto e distribuzione di' precursori ex lettera
d)] devono andar soggetti ad  un  massimo  edittale  piu'  elevato  -
siccome ricompreso tra almeno 5 e 10 anni - nella ricorrenza  di  due
(ed  anzi  tre)  ipotesi:  laddove  la  condotta  cada   su   «grandi
quantitativi di stupefacenti» [lettera a) del paragrafo  2];  laddove
la condotta si risolva nella «fornitura  degli  stupefacenti  per  la
salute» [prima parte della lettera b) del paragrafo  2];  laddove  la
condotta abbia «determinato gravi danni alla salute di piu'  persone»
[seconda parte della lettera b) del  paragrafo  2].  Il  paragrafo  3
nuovamente torna sui soli reati di  cui  all'art.  2,  stabilendo  un
innalzamento del massimo edittale al «almeno  10  anni»  in  caso  di
commissione nell'ambito di un'organizzazione criminale rilevante.  Il
paragrafo 4 per la seconda volta pone la durata massima compresa  tra
almeno 5 e 10 anni per i  reati  di  cui  all'art.  2,  paragrafo  1,
lettera  d),  sin  qui  apparentemente  pretermesso,   in   caso   di
commissione nell'ambito  di  un'organizzazione  criminale  rilevante,
nella  misura  in  cui  «i  precursori  siano  destinati  ad   essere
utilizzati nella produzione o per la produzione di stupefacenti  alle
condizioni di cui al paragrafo 2, lettere a) o b)». 
    Se e' vero che i paragrafi 3 e 4 pongono una differenziazione  al
rialzo del massimo  edittale  per  la  maggiore  pericolosita'  delle
condotte agite nell'ambito di un'organizzazione criminale  rilevante,
avendo viepiu' cura di calibrare con precisione  lo  spazio  edittale
minimo del massimo della pena detentiva in funzione  delle  tipologie
di reato, identicamente deve ritenersi che il paragrafo 2 si  attesti
sullo spazio edittale minimo del massimo  della  pena  detentiva  per
marcare la diversita', dalle fattispecie ordinarie del secondo  comma
del paragrafo 1, di fattispecie che, per la «quantita'» ovvero per la
«qualita'»  della  droga,   sono   meritevoli   di   un   trattamento
sanzionatorio deteriore. 
    Pare appena il caso di far notare che le lettere a)  e  b)  citt.
ragionano dei due indici «intrinseci» di  pericolosita'  della  droga
per la salute pubblica: 
        la quantita', dacche'  da  una  maggior  grandezza  di  droga
discende pianamente la possibilita' di un maggior confezionamento  di
dosi  destinate  al  consumo,  con  conseguente  maggiori  indici  di
esposizione della  salute  delle  persone  agli  effetti  nocivi  che
conseguono all'assunzione; 
        la qualita',  che  differenzia,  nel  genus,  le  species  di
sostanze stupefacenti di per se stesse «piu' dannose», in guisa  tale
da doversi riguardare queste ultime, ex ante, sotto  il  profilo  del
maggior pericolo e, ex post, sotto il profilo del maggior  nocumento,
alla stregua di quanto letteralmente fa la lettera b), che infatti ha
di mira il reato il quale «o implica la fornitura degli  stupefacenti
piu' dannosi per la salute, oppure ha determinato  gravi  danni  alla
salute di piu' persone». 
    Agli effetti che presentemente ne occupano, rileva la prima parte
della lettera b), rispetto alla quale  conviene  specificare  che  il
tenore fatto proprio dalle parole -  nel  riferirsi  alla  «fornitura
degli stupefacenti piu' dannosi per la salute» - da' per scontato  il
diverso  grado  di  pericolosita'  delle  sostanze  stupefacenti   in
rapporto al parametro del danno per la salute pubblica. Cio', oltre a
costituire un dato normativa insuperabile,  al  piu'  costituente  il
portato di una scelta  politica  rimessa  alla  discrezionalita'  del
legislatore dell'Unione europea, appare in linea con le  acquisizioni
della tossicologia, che ordina in una scala di gravita' crescente gli
effetti, per un verso psicotropi e per altro verso  neuronali,  delle
droghe leggere e, rispettivamente, delle droghe pesanti.  Del  resto,
anche gli studiosi di medicina, di chimica e, in diverso  ambito,  di
sociologia orientati ad accomunare le droghe leggere a quelle pesanti
profondono il  loro  impegno  scientifico,  giammai  per  negare  una
graduazione tra esse per via della graduazione degli effetti di esse,
ma semmai per ricondurre alla matrice comune delle sostanze dotate di
un qualche  effetto  psicotropo  o  neuronale  in  grado  di  indurre
dipendenza anche sostanze, come il caffe', l'alcool  od  il  tabacco,
che la cultura internazionale tollera. In definitiva, come la  stessa
decisione-quadro di cui si discute non  manca  di  rimarcare,  e'  il
grado di nocivita' a determinare le categorizzazioni, se del caso  da
inserire in un contesto piu' ampio persino  dell'insieme  dato  dalla
somma delle droghe leggere e delle droghe pesanti. 
    Fatte le superiori puntualizzazioni,  l'adozione,  da  parte  del
parlamento italiano (non importa - a questo punto -  se  in  sede  di
conversione di un decreto-legge a sua volta viziato nei presupposti),
di norme penali che prevedono pene sproporzionate  perche'  appaianti
il trattamento sanzionatorio delle fattispecie che hanno  ad  oggetto
le droghe leggere a quelle che hanno ad oggetto le droghe pesanti  si
pone in contrasto con l'art. 4, numero 2, lettera  b),  prima  parte,
d.q., che,  invece,  impone  agli  Stati  membri  di  adottare  «pene
detentive effettive, proporzionate  e  dissuasive»  nel  senso  della
differenziazione della risposta repressivo-punitiva  a  seconda,  tra
l'altro, della nocivita' e, quindi, ex ante della pericolosita' ed ex
post della dannosita' delle sostanze stupefacenti su  cui  cadono  le
condotte. 
    Nello stabilire pene che  abbiano  siffatte  caratteristiche,  la
discrezionalita' che la decisione-quadro lascia agli Stati membri non
e' senza limiti, in quanto, da un lato, e' proprio la  lettera  b)  a
denunziare l'esigenza di innalzare la cornice del minimo del  massimo
edittale laddove il reato «implic[hi] la fornitura degli stupefacenti
piu' dannosi per la salute»; dall'altro lato, il quinto considerando,
il quale spiega  efficacia  in  chiave  euristica  si'  da  orientare
l'interprete nella determinazione del significato delle  disposizioni
a valenza  precettiva,  precisa  che  «gli  Stati  membri  dovrebbero
prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, comprendenti
pene privative della liberta'», soggiungendo in  appresso  che,  «per
stabilire  l'entita'  della  pena,  si  dovrebbe  tener  conto  degli
elementi di fatto quali i quantitativi e la natura degli stupefacenti
oggetto di traffico e l'eventuale commissione del  reato  nell'ambito
di un'organizzazione criminale».  Ricorrono,  in  definitiva,  i  tre
cardini dell'aggravamento  su  cui  dianzi  ci  si  e'  intrattenuti:
quantita' e qualita' delle sostanze stupefacenti  e  connessione  dei
reati con la criminalita' organizzata.  L'introduzione  di  una  pena
sproporzionata - perche' equipara tutte le  droghe  -  da  parte  del
legislatore italiano rischia di  compromettere  gli  obiettivi  della
decisione-quadro, tra cui spicca la lotta  contro  il  narcotraffico,
che, per usare le parole del  nono  considerando,  «dipende  in  modo
essenziale dal ravvicinamento  delle  misure  nazionali  adottate  in
attuazione della decisione-quadro». 
    Par  questo  il  momento   per   far   rilevare   che   l'empasse
terminologico sollevato da  altro  arresto  della  Suprema  Corte  di
cassazione,  secondo  cui,  dall'art.  4  d.q.  «in  realta'  non  si
desume[rebbe]   alcuna    specifica    previsione    di    necessaria
differenziazione di pena fra tipi di droghe  in  quanto  il  predetto
art.  4  prevede  un  livello  minimo  di  sanzioni  per  le   droghe
maggiormente dannose ma non impedisce  che  il  medesimo  trattamento
venga riservato a qualsiasi sostanza  catalogata  come  stupefacente»
[Cass. Pen., Sez. VI, sent. 28 febbraio 2013 (dep. 29  aprile  2013),
Pres. Milo, Rel. Di Stefano, Ric. Petrelli], e' superabile alla  luce
dell'inquadramento dell'art. 4 cit., ed in  particolare  della  prima
parte della lettera b) del paragrafo 2 di  esso,  quale  declinazione
del  criterio  della  proporzionalita'  del  paragrafo  1.   Siffatto
inquadramento, come visto, e' sorretto dai canoni di  interpretazione
letterale, logico-sistematica ed euristica che si sono discussi. 
    Del  resto  neppure  puo'  sottacersi  che  l'invocazione   della
proporzionalita', ben  lungi  dall'appartenere  semplicemente  ad  un
testo privo di efficacia precettiva, qual e' la decisione-quadro  che
si commenta, trova sicura cittadinanza come  principio  generale  del
diritto codificato nell'art. 49, collima 3, della Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, per  modo  che,  pur  supposto  che
l'articolo 4 in commento sia privo  di  un  contenuto  suscettivo  di
immediata  interpretazione  nel  senso  illustrato,   comunque   tale
deficienza contenutistica  dovrebbe  essere  ortopedicamente  colmata
mediante il  raccordo  con  l'espressa  previsione  di  un  principio
generale del diritto a tal punto cogente da essere assurto a  diritto
fondamentale. Appare superfluo ricordare la riconduzione a livello di
diritto primario dell'Unione europea della Carta stessa  ex  art.  6,
comma 1, TUE, secondo cui «l'Unione riconosce i diritti, le  liberta'
e i principi sanciti nella Carta di diritti fondamentali  dell'Unione
europea  del  7  dicembre  2000,  adottata  il  12  dicembre  2007  a
Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati».  Per  il
tramite dell'art. 6, comma 1, cit., la Carta  acquisisce  dignita'  e
rango dei trattati, integrandoli, per modo che  le  sue  disposizioni
divengono a loro  volta  canone  di  valutazione  della  legittimita'
europea, cosi'  delle  discipline  europee,  come  pero'  pure  delle
discipline  nazionali,  entrando  a  pieno  titolo  ad  integrare  il
riferimento normativo di uno dei  termini  del  contrasto  di  queste
ultime. 
    Peraltro non ci si deve fermare qui. 
    L'art. 73, decreto del Presidente della  Repubblica  n.  309  del
1990 nella versione originaria era conforme ai criteri indicati nella
decisione-quadro. 
    La  menzionata  equiparazione  sanzionatoria  e'  intervenuta  in
pendenza  del  termine  di   trasposizione   della   decisione-quadro
medesima, quando il legislatore nazionale era obbligato, non  solo  a
darvi attuazione, ma anche, e soprattutto,  a  non  adottare  atti  o
comportamenti che potessero comprometterne  gli  obiettivi.  Cio'  in
virtu' del principio di leale  collaborazione,  che,  ben  lungi  dal
rappresentare  una  semplice  superfetazione   concettuale,   trovasi
codificato nell'art. 4, comma 3,TUE. 
    Il punto rileva per fondare  un  autonomo  profilo  di  contrasto
della disciplina italiana rispetto a quella europea, financo idoneo a
determinare  il  deferimento  dello  Stato  italiano   dinanzi   alla
giurisdizione transnazionale. 
    Ne'  in  contrario  varrebbe  richiamare   la   relazione   della
Commissione  sull'attuazione  della   decisione-quadro   2004/757/GAI
riguardante la fissazione di  norme  minime  relative  agli  elementi
costitutivi dei reati e  alle  sanzioni  applicabili  in  materia  di
traffico illecito di stupefacenti  [SEC(2009)1661]  del  10  dicembre
2009. 
    Preliminarmente, non puo' non rilevarsi che,  come  chiarito  dal
terzo  paragrafo  del  punto  1  intitolato  al  «Metodo»,  l'Italia,
rendendosi per cio' solo inadempiente agli  obblighi  internazionali,
neppure ha inoltrato la comunicazione di cui all'art. 9, paragrafo 2,
d.q., con la conseguenza che la  disciplina  italiana  non  e'  stata
letteralmente  presa  in  considerazione  dalla   Commissione   nella
redazione della relazione. 
    Ad ogni buon conto, nel contesto di  un  discorso  riguardante  i
soli Stati membri che hanno inoltrato una comunicazione corredata  di
idonei richiami a discipline e prassi, la Commissione, al punto  2.4.
intitolato alle «Sanzioni  (art.  4)»,  esplicita  la  trama,  dianzi
offerta alla riflessione, che permea la decisione-quadro in punto  di
crescente gravita' delle fattispecie di reato, perche', in una  scala
di maggiore offensivita', ai «reati ordinari (articolo  4,  paragrafo
1)»; fa seguire i «reati aggravati in materia di traffico illecito di
stupefacenti (art. 4, paragrafo 2)» ed i  «reati  aggravati  commessi
nell'ambito di un'organizzazione criminale (art. 4, paragrafi 3 e 4)»
(con ulteriori sotto-declinazioni interne). 
    In relazione specificamente ai «reati  aggravati  in  materia  di
traffico  illecito  di  stupefacenti  (art.  4,  paragrafo  2)»,   la
Commissione scrive: 
        dei 21 Stati membri  che  hanno  risposto[16]  20  rispettano
l'entita' della pena prevista dall'art.  4,  paragrafo  2,  ma  l'ago
della bilancia tende piuttosto ad oscillare piu' che altro tra  10  e
15 anni. Sono dieci gli Stati membri infatti che prevedono  una  pena
massima di 10 anni (AT, BE, CZ, DK, EE, FI, HU, LT, LU,  SE)  e  otto
quelli che la fissano a 15 anni (BE, CZ, DK[17], DE, HU, LT, LV, SK).
Sei Stati membri poi stabiliscono sanzioni molto  maggiori  (FR,  HU,
IE, LU, RO, SE), mentre solo quattro fissano pene massime tra 5  e  8
anni (AT, LT, NL, PL). Otto Stati membri tengono conto degli elementi
quantitativi e di danno alla salute (AT, CZ, DK, DE, FI, NL, SE, SK),
altri otto considerano solo uno dei due elementi (BE, EE, HU, LT, LU,
LV, PL, RO), mentre cinque non  fanno  riferimento  ne'  all'uno  ne'
all'altro (BG, FR, IE, PT, SI).  Visto  pero'  che  la  pena  massima
prevista per il reato di base in questi Stati membri corrisponde gia'
al livello stabilito dall'art.  4,  paragrafo  2,  o  addirittura  lo
supera,  l'assenza  di  tale   differenziazione   non   puo'   essere
contestata. 
    E' bensi' vero che la Commissione  conclude  nel  senso  che  «il
livello di attuazione dell'art. 4, paragrafo  2,  [e']  soddisfacente
per quanto concerne l'entita' delle pene detentive», ma e' anche vero
che essa, limitando la  positivita'  del  giudizio  al  dato  in  se'
dell'entita' delle pene detentive», recrimina che ben «tredici  Stati
membri non hanno introdotto  nella  loro  legislazione  gli  elementi
quantitativi e/o di danno alla salute». Par di potersi affermare  che
il piano di lavoro su cui la Commissione si pone concerne la verifica
esclusivamente «formale» del  rispetto,  da  parte  delle  discipline
nazionali,  delle  previsioni  edittali   di   pena   di   cui   alla
decisione-quadro, senza,  per  il  momento,  estendere  l'analisi  al
«merito». Lo si evince con chiarezza gia' nell'impostazione seguita a
proposito dei «reati ordinari (art. 4, paragrafo 1)», laddove,  preso
atto delle verticali differenze tra le  varie  discipline,  nondimeno
tutte rispettose del limite minimo di  un  anno  di  pena  detentiva,
denunzia  che,  nonostante  l'introduzione  della   decisione-quadro,
mirante   istituzionalmente   all'armonizzazione,   «le   discrepanze
legislative tra gli Stati membri» seguitano ad essere «nel  complesso
invariate»,  giungendo   ad   una   conclusione   ineccepibile:   «La
Commissione  prende  quindi  atto  della  conformita'  formale  delle
normative  nazionali  trasmesse,   ma   deve   purtroppo   lamentarne
l'eterogeneita' e si interroga sulla loro applicazione pratica». 
    Sicche' reputare che la  relazione  della  Commissione  abbia  la
forza di scardinare le conclusioni dianzi  raggiunte  significherebbe
consentire  all'argomento  di   provare   troppo.   La   Commissione,
esercitando una discrezionalita' politica nella scelta di attivare, o
meno, procedure di coercizione amministrativo-giudiziaria degli Stati
membri  verso  l'armonizzazione,  ha  ritenuto,  in  sede  di   prima
valutazione della materia,  dato  anche  l'elevato  numero  di  Stati
membri non allineato ai contenuti della  decisione-quadro  in  specie
per  non  aver  «introdotto  nella  loro  legislazione  gli  elementi
quantitativi e/o di danno  alla  salute»,  di  adottare  un  criterio
meramente formale quale  indice  basilare  di  riavvicinamento  delle
previsioni statuali, lanciando nondimeno nelle conclusioni il  chiaro
monito a termini del quale un'uniformita' di  facciata,  perche'  non
ossequiante delle previsioni di merito, pregiudica l'efficacia  della
politica dell'Unione europea nella lotta contro il narcotraffico. Par
chiaro che il portato di valutazioni politiche  della  Commissione  a
proposito del mancato promuovimento di procedure di infrazione, tanto
piu'  stante  la  sottolineatura  della  mancanza   di   dati   circa
l'«applicazione pratica» delle «normative nazionali  trasmesse»,  non
puo' soverchiare la  logica,  condivisibile  o  meno,  delle  analisi
giuridiche. 
    Ne', come dicevasi,  il  comportamento  dell'Italia  puo'  essere
riguardato solo nella sua dimensione statica, in relazione  a  quanto
odiernamente  prevede  la   disciplina   in   materia   di   sostanze
stupefacenti, giacche' il fatto stesso di intervenire a  modifica  di
una disciplina originariamente  conforme  alla  decisione-quadro  per
disallinearla dalle sue previsioni, viepiu' senza congrua motivazione
sul punto, costituisce un  elemento  di  rottura  della  lealta'  cui
improntare, in un'ottica di collaborazione e non di contrapposizione,
i rapporti con l'Unione europea. 
    Facendo ora il punto della situazione, lo  scrivente  Giudice  e'
consapevole che il Trattato di  Lisbona  (entrato  in  vigore  il  1°
dicembre del 2009, ma recepito in Italia gia' con la legge  2  agosto
2008,  n.  130)  ha  abolito  la  struttura  dell'Unione  europea  in
pilastri,  estendendo  il  metodo  comunitario   al   settore   della
cooperazione giudiziaria  in  materia  penale  e  prevedendo  che  le
competenze  di  armonizzazione  in  tale  materia  siano   esercitate
mediante direttive, da  adottare  secondo  la  procedura  legislativa
ordinaria, dotate, esse si, di  effetto  diretto  ex  articoli  82  e
seguenti TUE; ma allo stesso tempo e' consapevole che, in assenza  di
un atto espresso di  «sostituzione»  della  decisione-quadro  che  ne
occupa ad opera  di  una  direttiva  (come  invece  e'  avvenuto,  ad
esempio, con la direttiva 2011/92/UE del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio  del  13  dicembre  2011  relativa  alla  lotta  contro  lo
sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia  minorile,  che  ha
sostituito la decisione-quadro n. 2004/68/GAI del  Consiglio  del  22
dicembre 2003 in materia), detta decisione-quadro mantiene intatte le
caratteristiche che aveva prima della caducazione dei  pilastri.  Ne'
per vero lo stallo cosi venutosi a determinare giova, non  solo  alla
causa dell'effettiva armonizzazione, ma  soprattutto  alla  posizione
dei singoli: e' infatti di  per  se'  censurabile  che  le  posizioni
soggettive  conferite  ai  singoli  nel  settore  della  cooperazione
giudiziaria in materia penale godano di  una  tutela  diversa,  nelle
declinazioni dell'invocabilita' diretta davanti al Giudice  nazionale
in confronto del mero obbligo di interpretazione conforme, a  seconda
che il contenuto dello strumento che le prevede sia stato trasfuso, o
meno, in una direttiva. 
    Ad ogni buon conto, rebus sic stantibus, lo scrivente Giudice  si
vede costretto ad investire della questione codesta Ecc.ma Corte, con
richiesta alla stessa di dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
degli articoli 73 e per estensione 13 e 14,  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 309 del 1990 per contrasto con gli articoli 11  e
117, comma 1, Cost. in relazione al preliminare contrasto con  l'art.
4, numero 2, lettera b),  prima  parte,  d.q.  A  tal  fine  richiama
l'insegnamento proprio di codesta Ecc.ma Corte a  termini  del  quale
sussiste il potere-dovere  del  Giudice  di  sollevare  questione  di
legittimita'  costituzionale,  nei  termini  proposti,  in  caso   di
contrasto con norme comunitarie prive  di  effetto  diretto,  essendo
queste ultime inidonee a sottrarre alla fonte statuale il suo  valore
e la sua efficacia e, quindi, di riflesso, a  consentire  al  Giudice
medesimo, quale Giudice di  uno  Stato  membro  che  si  veste  delle
potesta' di Giudice dell'Unione europea  in  una  dimensione  diffusa
della  giurisdizione  europea,  l'esercizio  del   potere-dovere   di
disapplicazione del diritto interno incompatibile (in argomento,  sia
consentito di richiamare, lungo un  ideale  filo  conduttore  che  si
avvita in una linea interpretativa costante  sin  dalla  meta'  degli
anni ottanta del secolo scorso, le celeberrime sentenze  n.  170  del
1984, n. 284 del 2007, n. 28  del  2010  e,  da  ultimo,  proprio  in
relazione alle decisioni-quadro, n. 227 del 2010). 
    Piu' particolarmente, nel caso di specie, il contrasto oggetto di
denunzia  non  pare  sanabile  in  via   interpretativa,   a   fronte
dell'impossibilita'  per  il  Giudice  di  determinare  una   cornice
edittale, per le fattispecie involgenti le droghe leggere, al di  la'
(rectius, al di sotto) dei limiti fissati dall'art. 73,  commi  1  ed
1-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 309  del  1990.  Di
cio' tiene conto anche la giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea laddove afferma che in  ogni  caso  l'obbligo  di
interpretazione conforme gravante sul Giudice  nazionale  incontra  i
limiti derivanti  dai  principi  generali  del  diritto  e  non  puo'
pertanto servire da fondamento per  un'interpretazione  contra  legem
del diritto dello Stato membro (cfr.,  in  relazione  all'obbligo  di
interpretazione conforme alle direttive, CG, 8  ottobre  1987,  causa
80/86, Kolpinghuis, punto 13; 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler
e a., punto 110; 15 aprile 2008, causa C-268/06, Impact,  punto  100;
in   relazione   all'obbligo   di   interpretazione   conforme   alle
decisioni-quadro, CG, 16 giugno 2005, causa C-105/03,  Pupino,  cit.,
punti 44 e 47). Il punto e' centrale nel diritto penale perche',  tra
i principi generali del diritto riguardanti le pene, si  annovera  il
monopolio  assoluto,  o  tendenzialmente  assoluto,  riconosciuto  al
potere legislativo nella  previsione  e  nella  determinazione  della
pena. Detto monopolio, specialmente in un ordinamento  di  civil  law
come  quello  italiano,  si  traduce  nell'impellente   cogenza   del
principio di stretta legalita' delle pene. 
    Ne' pare condivisibile il suggerimento di risolvere il  conflitto
riconducendo le fattispecie di reato inerenti le droghe leggere  alle
ipotesi di minore gravita' di cui all'art. 73, comma 5,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309  del  1990:  invero  l'espressione
«qualita' della sostanza» di cui al comma 5 e' da interpretare  -  ed
e' interpretata anzitutto dalla giurisprudenza di legittimita' -  nel
senso del richiamo al grado di  raffinatezza  e  non  nel  senso  del
richiamo alla natura pesante o  leggera  della  droga  in  questione.
Inoltre, nel caso di  una  condotta  penalmente  rilevante  ai  sensi
dell'art.  73,  commi  1  ed  1-bis,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309 del 1990 avente ad oggetto  una  droga  leggera,  i
fatti non per  cio'  solo  sono  automaticamente  di  lieve  entita',
concorrendo altri elementi di valutazione, tra cui in particolare «la
modalita'  e  le  circostanze  dell'azione»  e  la  «quantita'  delle
sostanze».  Ne'  pare  di  poco  momento  il  rilievo,  di  per   se'
assorbente, a termini del quale la  cornice  edittale  unica  di  cui
all'attuale comma 5  appiattisce  il  trattamento  sanzionatorio  dei
fatti di reato relativi alle droghe leggere su quello gia'  previsto,
in specie per la pena detentiva, dal previgente comma 5 per  i  fatti
di reato relativi alle droghe pesanti, cosi'  replicando,  pur  nella
previsione attenuata, la vulnerazione della proporzionalita'. 
    Ritenuto il contrasto, e' bensi' vero che  lo  scrivente  Giudice
avrebbe potuto sollevare una questione  interpretativa  dinanzi  alla
Corte di giustizia dell'Unione europea al fine di  ottenere  risposta
alla domanda se il diritto dell'Unione europea osti o non osti ad una
disciplina, che, come quella italiana, equipara  le  sanzioni  penali
delle condotte relative alle  droghe  leggere  alle  sanzioni  penali
delle condotte relative alle droghe pesanti. Tuttavia la  correlativa
sentenza avrebbe potuto dispiegare un effetto  circoscritto,  siccome
meramente allocutorio: proprio a causa della  mancanza  di  efficacia
diretta della decisione-quadro, infatti,  detta  Corte  e'  abilitata
solamente ad indicare al Giudice nazionale la strada - tuttavia, come
gia'  detto,  impercorribile  per  il  verticale  contrasto  con   il
principio  di  legalita'   -   dell'interpretazione   conforme.   Per
conseguenza  il  suo  dictum,  in  ipotesi  persino  favorevole  alla
posizione degli  imputati,  giammai  avrebbe  potuto  riversarsi  nel
procedimento penale pendente nei loro confronti, se non attraverso la
successiva   denunzia   di   illegittimita'   costituzionale    delle
disposizioni incompatibili. 
    Diversamente,   codesta   Ecc.ma   Corte,   in   quanto    organo
giurisdizionale abilitato a - e per certi versi financo onerato di  -
elevare questioni pregiudiziali alla Corte di  giustizia  dell'Unione
europea  ai  sensi  dell'art.  267  TUE,  anche  in  occasione  della
trattazione di questioni di illegittimita'  costituzionale  sollevate
in via incidentale, giusta l'ord. n. 207 del 2012, potrebbe -  e,  in
quanto giurisdizione  avverso  le  cui  decisioni  non  e'  possibile
proporre  gravame  di  diritto   interno,   fors'anche   dovrebbe   -
determinarsi ad un tale rinvio, qualora ritenga  necessario  ottenere
chiarimenti  sull'interpretazione  della  nozione  di   effettivita',
proporzionalita' e dissuasivita' della pena ai sensi dell'articolo 4,
paragrafi 1 e 2,  d.q.,  ottenendo  per  l'effetto  precisazioni  sui
confini delle competenze dell'Unione europea in  materia  di  diritto
penale degli stupefacenti e sui vincoli di  riflesso  ridondanti  sul
legislatore nazionale. 
    Resta  un  ultimo  argomento,  per  completezza,  da  affrontare.
Secondo una linea di pensiero, emersa nella giurisprudenza di merito,
la questione di legittimita' costituzionale  che  ne  occupa  sarebbe
inammissibile perche' la  reviviscenza  della  disciplina  previgente
determinerebbe  la   rinnovata   applicazione   di   un   trattamento
sanzionatorio deteriore con riferimento  alle  ipotesi  di  reato  in
allora previste dall'art. 73, comma 1, decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 309 del 1990  ed  eliminerebbe  il  collima  5-bis  che
introduce la possibilita' di sostituzione della pena con  quella  dei
lavori di pubblica utilita' (G.U.P. Rieti,  Giud.  Fanelli,  ord.  13
giugno 2013, imp. Zara, inedita). 
    Par di potersi affermare che l'argomento e'  suggestivo,  ma  non
probante. 
    Tenuto conto che l'effetto della novella e', dal punto  di  vista
logico, duplice, avendo essa abrogato la disciplina previgente  pero'
nel   contempo   sostituendola    con    l'attuale,    come    emerge
chiarissimamente dalla motivazione  e  dal  dispositivo  dell'ord.  9
maggio 2013 del Supremo Consesso,  l'incidente  di  costituzionalita'
concerne solo le droghe leggere, in rapporto all'equiparazione  delle
quali alle droghe pesanti tutti i ragionamenti esposti si  impuntano.
Di  conseguenza,   un'eventuale   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale della novella in parte qua  determinerebbe  bensi'  la
reviviscenza della disciplina previgente, ma solo con riguardo a quel
segmento di essa dedicata alle droghe leggere  e,  quindi,  solo  con
riguardo all'art. 73, in allora comma 4 e, per  quanto  di'  ragione,
comma 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.